lunedì 4 gennaio 2010

Come ho conosciuto Colapesce. Capitolo Primo



Una musica incomprensibile risuonava nella stanza.
Una melodia sparata sui medio-alti quasi citofonica: la radiosveglia.
Dopo l’udito a risvegliarsi di botto, sono stati nell’ordine la vista ed il tatto. La luce grigia di una mattina di pioggia.
Il liscio e morbido calore delle lenzuola.
Poi come un colpo di pistola, forte e improvviso, arriva la morsa alla nuca ed alle tempie.
Il mal di testa della mattina è avvilente.
Ieri sera il rossosiciliano, come lo chiama il mio collega, ha valicato la soglia della tolleranza andando ad invadere i vasi e gli anfratti del cervello, pressando adesso sulle sue pareti. Cazzo ho esagerato.
Tento di ricordare, di rivedere le scene della sera prima. E’ tutto un po’ offuscato.
Le immagini mi arrivano come filtrate da una luce rossa, intensa e scura. Come guardare le foto che piano piano spuntano sulla carta messa a bagno negli acidi di una camera oscura.
Un tavolo di un locale vicino al mare. Il tovagliato blu e oro ed i piatti squadrati. Poi quel bicchiere colmo, poi vuoto e poi colmo.
Si parlava di lavoro, di cazzate e di politica. Io e Giovanni, il mio collega appunto.
La sala scarsamente affollata.
Ricordo adesso la sigaretta accesa all’uscita e la sensazione di leggerezza provata al fresco pungente di quella brezza marina. Si sentiva il mare. Si sentiva l’odore ed il suo respiro.
Guidare adesso non era il caso.
- Facciamo due passi verso la spiaggia.
Le nostre voci sembravano le uniche in quel piccolo scorcio di mondo. Era abbondantemente passata la mezzanotte ed aveva piovuto fino a poco prima di uscire dal locale.
Poi nuovamente il vuoto. Sabbia e salsedine.
Parole, risate e confidenze da ubriachi.
Giovanni adesso dormiva adagiato in posizione fetale su un entrobordo da pesca messo a riparo sulla spiaggia. Io sulla rena che cammino storto e lento.
Poi un sospiro. Mi volto verso il mare. Niente.
Ma il sospiro adesso è continuo. Un suono come di un lieve lamento. Mi gira la testa. Sorrido e giro su me stesso.
Ancora quel suono.
Adesso avevo forse anche un po’ di paura.


Poi mi sarò addormentato sfinito dalla stanchezza e dai fumi alcolici. Si, devo aver dormito necessariamente perché ora ricordo il sogno che ne è seguito.


Dal nero del mare, illuminato di grigio in lontananza dalla luna, arrivò ad un tratto una voce.
Un po’ soffocata e coperta.
- Sono Cola...
- Sono Cola...
Non riuscivo a vedere nulla se non quella lastra scura e lucente del mare. Qualche barca da pesca attaccata alla boa e la spiaggia desolata.
In quel tratto le case erano assai distanti per poter arrivare ad emettere quei suoni, modulare quella voce. Qualcuno parlava però.
Come da dietro un vetro, da dentro qualcosa…
- Sono Cola, tu chi sei? … Chi sei?
Sono un passante dissi timidamente.
Non sapevo cos’altro rispondere. Non sapevo a chi stessi parlando.
Qualche pescatore incazzato perché il mio collega aveva scambiato la sua barca per un comodo ed umido riparo per la notte?
Qualcuno preoccupato per le reti posate dentro i fusti di plastica accanto ai verricelli a scoppio.
- Come ti chiami?
- Chi parla?
Risposi con la voce troppo alta, gridando forse. Rimbombò tutto intorno.
- Sono Cola
La voce era adesso ferma e decisa.
 - Sono nel mare.
Iniziai ad osservare con insistenza la fila di scogli che cingeva per una ventina di metri la costa.
Era tutto in ombra e dai profili diritti dei blocchi di cemento non si scorgeva nessuna figura umana.
 - Sono dentro il mare.
Non capivo se le parole che arrivavano alle orecchie erano alterate dalla sbronza o se qualcuno stava allegramente prendendomi per il culo.
Stringevo gli occhi e cercavo di concentrarmi su quei suoni.
Mi piegai e raccolsi dell’acqua schiumosa dal mare. Mi bagnai la fronte e le guance. Scottavo.
- Che vuol dire che sei dentro il mare, non ti vedo.
Adesso moderai il tono e mi rivolsi alla boa come se fosse a pochi metri da me.
- Non puoi vedermi, sono infondo al mare. Sono Cola!
- Io sono davide e sono sulla spiaggia ma non capisco comunque!
- Sei messinese?
- Si, certo sono di Messina.
- E che cazzo vi spiegano a scuola, non conosci la mia storia?
- Perché dovrei conoscere la storia di uno che di notte prende in giro la gente sulla spiaggia.
- Minchia, sono Colapesce!
- Si, ed io sono Giufà.


 Le immagini nella mia mente si fecero nuovamente sbiadite, bruciate da una forte luce.
Un sogno che si dipanava nella mente, sgocciolando sensazioni e suoni quasi reali e vissuti.
Mi alzai barcollando ed andai a lavarmi il viso. Lo specchio implacabile mi restituì l’immagine di un uomo con gli occhi gonfi ed il viso segnato dal dolore.


 - Non credi sia un po’ incredibile che io stia parlando con Colapesce?
- Certo che lo è, ma a volte le verità appaiono come inverosimili.


La luna si era spostata ed evidentemente era trascorso del tempo dal principio della conversazione.
Ora ero seduto e parlavo rivolto verso il mare, guardando un po’ la costa calabrese con le luci gialle degli imbarcaderi e un po’ una boa sbiadita libera da cime e solitaria che galleggiava ad una decina di metri dalla riva.
- Come stai?
- Stanco, sempre più stanco. Che strana domanda che mi hai fatto.
- Perché strana?
- Ad una creatura mitica e fantastica è difficile pensare di chiedere lo stato di salute?
- Credo sia il minimo… interessarsi dell’altro interlocutore.
- Si hai ragione dovrebbe essere così. Ma andiamo al sodo. Se mi sono deciso a parlare con un umano dopo tanti secoli è perché ho bisogno di capire alcune cose. Mi è indispensabile.
- Chiedimi quello che vuoi.
- Si ma devi essere sincero nelle tue risposte. Ti chiedo di parlare con la verità, non come siete abituati voi lassù.


Mi si aprivano sprazzi di lunghi monologhi che la voce dentro al mare faceva. Mi raccontava di come riusciva a sentire ciò che accadeva nel mondo emerso. Lo capiva dai suoni e dalle voci che attraverso la terra ed il mare gli giungevano. Mi ha anche deliziato con una dissertazione sulla conduzione del suono attraverso i solidi. Riusciva ad avvertire dei cambiamenti anche da come l’acqua del mare gli arrivava a centinaia di metri di profondità.
Mi raccontava di come tutto andava lordandosi. Del peso che avvertiva sulla spalla ad ogni palazzo che veniva eretto nella parte nord-orientale della Sicilia.
Anche l’uno ottobre sentì un forte rumore. Uno scossone che gli aveva fatto tremare le braccia.
- Deve essere successo qualcosa di grave, vero?
- Si, molto grave. Tanti morti e tanta disperazione.
- Ho sentito il rumore di oggetti volanti per un paio di giorni. Ho avvertito sirene e crolli. Alcune urla che poi sono divenuti pianti e poi flebili lamenti. Poi silenzio.
- Due paesi sono stati avvolti dal fango. Un costone di una montagna si è sgretolato sotto la pioggia avvolgendo uomini e cose.


- Io quando piove lo sento, ma non mi sembrava che fosse così forte, ci deve essere qualcos’altro? ricordati la sincerità.
- Hai proprio una fissazione con la sincerità. Perchè dovrei mentirti? 
- Io non conosco il motivo per cui tu possa farlo, però ricordati che io sono finito quaggiù per colpa di una menzogna.
- Ascolta,  io vuoi perchè brillo, vuoi perchè così sono fatto, ti sto dicendo tutta la verità. 



Silenzio. Solo nuovamente il leggero rumore del mare. Mi guardai attorno e tutto era immutato. 
Mi sentivo un pò coglione, forse avevo immaginato tutto. Rossosiciliano
Ad un tratto chiamai a voce alta, Colapesce.
- Sono qua, dove vuoi che vada.
- Perchè ti sei ammutolito?

La sua voce si fece più lenta e sofferente. Il suono delle sue parole risuonava come una cantilena tra la risacca delle onde.
- Io ricordo com’è fatta Messina. Ricordo le colline a ridosso del mare. Ricordo le rasole coltivate e le ammacie. Poi le grandi pinete. Ci sono i torrenti e le trazzere che si inerpicano fino in cima alle montagne. Ma non ricordo mai di pioggia che fa scivolare le montagne. 
- Se è per questo non ricordi gli incendi che bruciano le pinete e la gente che non coltiva più la terra.



-  L'acqua scorre da una vita dall'alto in basso, si incanala verso i torrenti e scende verso il mare. La pioggia serve per dare vita non per mietere morte.
- Sai Cola,  quando la pioggia cade su un territorio in cui l'incuria è la sola regola succede un disastro.
Sembrava deluso e rammaricato. Come gli anziani spesso reagiscono alle atrocità del progresso sembrava nel tono incredulo.


Mi piegai per allacciarmi le scarpe e senti forte la pressione alla nuca.
Il malessere fisico si mischiava alla confusione dei ricordi. Che cos'erano questi lampi che mi illuminavano il ricordo della serata. Con chi avevo parlato seduto sulle umide pietre per tutta la notte.
Mentre pensavo a questo mi passai la mano sul sedere e lo sentì indolenzito.
Cosa era successo esattamente quella notte. Dovevo scoprirlo. Avrei chiamato Giovanni per farmi raccontare quello che ricordava lui.
Gli occhiali da sole non riuscivano ad impedirmi di strizzare gli occhi alla vista del giorno.
Ad ogni scalino il cervello sobbalzava nella scatola cranica provocando dolore.
- Pronto, Giovanni come stai?
- Bene, bene. Tu?
- Insomma, ho un solo problema, non ricordo bene quello che è successo stanotte.
Sapevo che dicendo così avrei suscitato la sua ilarità. Avrebbe pensato che non reggevo bene il vino e che sono solo un picciriddu. Ma non avevo alternative.
- Verso le quattro e mezza mi sono svegliato e ti ho trovato addormentato su di un masso. Eri tutto rannicchiato e sparavi minchiate. Mi hai chiamato Cola per tutto il tragitto fino a casa. Non reggi l'alcol, lo sapevo.


Non mi aveva aiutato molto. Giovanni non sapeva cosa fosse accaduto su quella spiaggia durante la notte. Lui aveva dormito tutto il tempo e forse alle luci dell'alba si era svegliato ed in più avevo fatto la figura dello stronzo.
Guidando avevo lo stretto sulla destra. I colori che assumeva andavano dal verde al celeste con spruzzi di blu scuro e chiazze di grigio.
- Ma poi che è questa storia del ponte? Non scherzate che io qua non reggo più.
- Dicono che vogliono iniziare quest'opera. Non sono d'accordo neanch'io...
- Da centinaia di anni vi reggo e vi sopporto a fatica. Io lo dico prima, se lo fate io smetto. Non ho intenzione di tenere a galla un'isola di coglioni.
Ricordo poi il racconto della sua storia, di quello che lo aveva portato a reggere la Sicilia per tutti questi anni.
- Della superficie ho un brutto ricordo. Ho ricevuto solo calci in faccia. Non riesco a provare rancore ma grande delusione.